Nelle mie notti
insonni mi son ritrovato a riflettere nuovamente sulle analogie tra vita umana
e vita dei campioni da laboratorio. Ancor più del creep a rottura, di cui ho
già scritto precedentemente, il test che si avvicina ad alcune condizioni umane
di rottura interiore è l’ESC, acronimo di Enviromental Stress Cracking. L’ESC
null’altro è che un test in cui il nostro provino viene comunque sottoposto ad
un carico costante che è nettamente inferiore a quello di snervamento ed a
quello di rottura, ma in questo caso lo stesso viene immerso in un fluido
diverso dall’aria. Per loro stessa natura i polimeri tendono a far permeare i
liquidi al loro interno. La natura dei diversi fluidi in cui vengono immersi i
diversi provini variano i tempi in cui si realizza la rottura. Normalmente in
laboratorio si fa un confronto con il provino in aria che fa da riferimento.
Nelle cose umane però non ci sono riferimenti in aria e l’ambiente in cui vieni
immerso può variare la sua qualità nel tempo e caratterizzare accelerazioni o
rallentamenti nel processo di rottura. Normalmente gli esseri umani che
arrivano a rottura sono come i provini che subiscono questa prova. Sono esseri sottili e fragili esposti a
quantitativi relativamente grandi di agenti per loro nocivi.
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